Non è solo maleducazione o cattivo carattere.
Sempre più persone raccontano lo stesso copione: inizi a dire qualcosa, e in pochi secondi l’argomento ruota sulla vita dell’altro. Questo meccanismo non nasce nel vuoto. Tra insicurezze, scarse competenze comunicative e pressioni culturali, si può intervenire senza scontri e senza farsi risucchiare.
Quando il dialogo si trasforma in spettacolo solista
Il fenomeno è riconoscibile: citi una settimana pesante, e risponde un romanzo sulle faide in ufficio. Accenni a un controllo medico, e parte il diario delle operazioni. Da interlocutore diventi pubblico non pagante. A casa erode la complicità, tra amici spegne la voglia di confidarsi, in azienda distorce i processi decisionali.
Quando le parole girano sempre attorno a una sola persona, l’aria sembra piena di suoni e povera di legami.
Cosa alimenta il “parlo di me” continuo
Autostima fragile, storie rumorose
Sotto l’iper-presenza verbale spesso c’è un sé instabile. Alcuni hanno imparato presto che venivano notati solo se brillavano. Così gonfiano momenti ordinari, ripetono aneddoti, alzano il volume emotivo. Da fuori appare arroganza. Dentro suona come paura di sparire se cala il silenzio.
- Ingrandiscono episodi neutri perché la reazione degli altri rassicura.
- Raccontano successi o disastri per cercare conferme immediate.
- Ritornano sugli stessi racconti quando l’ansia sale.
Non solo ego: abilità conversazionali carenti
C’è chi non ha mai appreso l’alternanza dei turni. Famiglie a monologo, riunioni che premiano chi interrompe, chat sature di interventi lunghi: allenano a non notare i segnali minimi degli altri. Uno sguardo al telefono, risposte corte, spalle che calano sono indizi che passano inosservati. La pausa viene letta come invito ad aggiungere dettagli, non a cedere la parola.
Se nessuno ha insegnato ad ascoltare i segnali sottili, la stanchezza altrui resta invisibile.
Pressioni culturali e incentivo alla performance
Piattaforme social premiano il monologo brillante. Molti ambienti di lavoro ammirano “la voce forte nella stanza”. I talk politici mostrano sovrapposizioni e scarsa attesa. In questo clima, parlare con equilibrio appare debole o poco produttivo. Alcuni compensano occupando più spazio, più a lungo, più in fretta.
Come reagire senza accendere un conflitto
Confini chiari e gentili
Le mezze frasi non cambiano i comportamenti. Meglio frasi brevi e specifiche, dette con tono calmo:
- “Ho ascoltato molto di te, ora vorrei raccontarti un fatto mio.”
- “Intervengo un attimo con la mia prospettiva.”
- “Aspetta: rispondo alla tua domanda, poi torniamo al resto.”
Dopo aver parlato, resta in silenzio per qualche secondo. Quel vuoto mostra coerenza. L’altro capirà che non è un invito a un nuovo monologo.
I confini funzionano quando chi li pone resta saldo mentre l’altro si riassesta.
Domande che rimettono il freno
Se la storia deraglia nei dettagli, guida la rotta con quesiti che spostano dall’esibizione alla riflessione:
- “Come ti ha lasciato questa cosa?”
- “Cosa cambia per noi, concretamente?”
- “Di cosa hai bisogno da me adesso?”
Queste domande creano una pausa mentale. Il flusso si modera, emergono scambio e senso, non solo cronaca.
Dire come ti senti, presto
Ingurgitare irritazione e sbottare dopo settimane porta solo difese. Molto prima, usa formule che parlano di te, non dell’etichetta sull’altro:
- “Mi sento ai margini di questa conversazione.”
- “Vorrei più scambio: al momento per me è sbilanciata.”
Così segnali il pattern, senza attacco personale. Spesso basta per cambiare ritmo.
Rituali semplici che proteggono l’equilibrio
Nelle famiglie, tra amici e nei team, piccole regole condivise fanno la differenza. Sono basilari, proprio per questo funzionano.
| Contesto | Rituale | Effetto |
|---|---|---|
| Cena in casa | Un cucchiaio come “bastone della parola” che passa di mano in mano. | Turni chiari; i bambini apprendono attesa e sintesi. |
| Riunione | Giro rapido iniziale: un aggiornamento per persona in un minuto. | Chi è più timido parla subito; chi domina allena la brevità. |
| Amicizia stretta | Pausa di metà incontro e cambio focus concordato. | Le urgenze trovano spazio, senza inghiottire tutto il tempo. |
La giustizia conversazionale smette di essere un favore personale e diventa prassi.
Se il parlatore sei tu
Molti si riconoscono nella tendenza a tornare su di sé. Non per cattiveria: la paura fa rumore. L’autoconsapevolezza nasce da micro-pause e da regole concrete.
Cresce quando ti sorprendi a dire “io” tre volte di fila e cambi rotta con dolcezza.
- Tieni le mani d’aiuto: unisci pollice e anulare per ricordarti di aspettare.
- Poniti una regola privata: tre domande sincere prima del prossimo aneddoto personale.
- Scrivi una nota sul telefono: “Ascolta, poi rispondi”. Guardala prima delle chiamate delicate.
Chi lavora su questi aspetti in terapia o coaching prova silenzi più lunghi e nota che i legami non crollano se parla meno. Spesso diventano comunicatori più attenti, perché conoscono entrambe le sponde.
Perché questo schema incide più di quanto pensi
La conversazione è una valuta affettiva. Se uno incassa attenzione e restituisce poco, cresce il risentimento. Le persone si ritirano molto prima di smettere di vedersi. Partner che smettono di confidarsi, adolescenti che scappano in camera, junior che tacciono di fronte a capi che trasformano i meeting in palcoscenico: l’effetto è cumulativo. In superficie tutto scorre, sotto la fiducia si assottiglia.
Un dialogo bilanciato invia un messaggio preciso: “Conti quanto conto io. Anche il tuo mondo interiore merita spazio”. Senza quel segnale, il rapporto diventa transazionale, spesso senza intenzioni ostili.
Angoli utili da considerare
Quando il “io, io, io” copre rischi silenziosi
Il centrarsi continuo può mascherare ansia, umore depresso, traumi. C’è chi si aggrappa a storie familiari perché i temi nuovi spaventano. Altri compensano anni di invisibilità e non sanno regolare la portata. Il doppio binario aiuta: incoraggia spazi di cura dedicati, e al tempo stesso limita il carico emotivo nei colloqui quotidiani.
Strumenti pratici per dicembre 2025
- Esempio in ufficio: definisci la “regola del giro” nelle riunioni ibride. Chi modera assegna i turni e chiude gli interventi lunghi con una sintesi e una domanda al gruppo.
- Esempio tra amici: concorda prima dell’incontro due argomenti per ciascuno. Se emerge un’urgenza, spostate il resto al prossimo caffè.
- Auto-check rapido: valuta il tuo rapporto ascolto/parola su una scala da 1 a 5 alla fine di ogni chiamata. Annota due azioni per riequilibrarlo domani.
Un esercizio semplice: scegli un’interazione ricorrente della settimana e stabilisci in anticipo quanto spazio prenderai e quale domanda farai per prima. Osserva come cambia il tono quando ti presenti con questa piccola intenzione. Nel tempo diventano abitudini che proteggono relazioni e decisioni.
Per chi vuole approfondire il tema del “turn taking”, vale la pena sperimentare micro-ritmi: 90 secondi a testa per aggiornarsi, poi un minuto per domande, quindi scelta condivisa del prossimo tema. La struttura riduce l’ansia da prestazione, alza la qualità dei contenuti e libera energie per ciò che serve davvero.







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