Quando l’ambizione cresce, anche le abitudini dei cittadini cambiano.
Sul Mar Rosso, Arabia Saudita rimette mano a un progetto capace di rompere schemi e abitudini: una torre destinata a superare limiti tecnici e simbolici, con Jeddah come laboratorio urbano e vetrina internazionale. Il cantiere, sospeso per anni, torna al centro delle conversazioni globali.
Un nuovo test per la gerarchia delle città
A Dubai e Shanghai l’altezza è già linguaggio. Jeddah vuole riscrivere la frase successiva. Il grattacielo previsto a Jeddah Economic City punta a diventare l’icona di Vision 2030: un segnale visibile, immediato, riproducibile in ogni foto condivisa. Non è solo skyline; è posizionamento geopolitico e marketing territoriale.
Un’immagine potente attrae capitali, marchi e talenti più velocemente di una campagna promozionale. L’architettura diventa argomento economico.
Il messaggio è chiaro: inserirsi nella stessa mappa mentale di New York, Dubai e Hong Kong con un profilo inconfondibile. La corsa al primato non riguarda la vanità fine a se stessa. Parla di turismo, finanza, tecnologia, conferenze, eventi. Parla di status e di affidabilità percepita.
Dalla pausa al riavvio
Il progetto nasce nei primi anni 2010 con lo studio Adrian Smith + Gordon Gill. La forma, slanciata e rastremata, parte da una pianta a tre “petali” ispirata alla botanica del deserto, pensata per sfidare vento e calore. Il nucleo in calcestruzzo è salito fino a qualche centinaio di metri prima del brusco stop legato a appalti, finanza e contesto politico. Per anni il moncone in cantiere è stato una domanda senza risposta.
Tra fine 2023 e 2024 si sono riaffacciati bandi e contratti. La parola chiave è “riattivazione”. Il ritmo resta prudente, ma il progetto è rientrato nel perimetro delle priorità. Anche i nomi raccontano la sua storia: per gli ingegneri è Jeddah Tower, per molti residenti resta ancora Kingdom Tower. Due etichette, la stessa ambizione.
Come si costruisce un ago nel deserto
Non esiste un trucco segreto. Esistono calcoli, materiali e scelte iterative. La sagoma a tre ali riduce i carichi del vento e limita l’oscillazione. I “notch” aerodinamici confondono i vortici. In profondità, le fondazioni allargano e distribuiscono il peso come radici. Ogni dettaglio è una barriera contro vibrazioni, sabbia, salsedine, escursioni termiche.
La mobilità verticale richiede una logica da aeroporto: ascensori express verso sky lobby, sistemi locali per la distribuzione fine, piani di trasferimento. Nessuno accetta attese interminabili. La climatizzazione deve domare il caldo senza trasformare la facciata in una lente. Il vetro filtra e riflette, il sole rimane fuori, gli interni restano vivibili. La sicurezza antincendio non replica schemi standard: procedure, compartimentazioni e vie di fuga si adattano a quote inusuali.
Il successo di un “supertall” nasce nei dettagli invisibili: raffrescamento, facciate, manutenzione, evacuazione. La spettacolarità è l’effetto, non la causa.
Efficienza e impatto ambientale
Un organismo così alto consuma energia per il solo fatto di esistere. La risposta passa da isolamento performante, schermature intelligenti, recupero dell’acqua e, dove possibile, integrazione di fonti rinnovabili. Le soluzioni green non cancellano l’impronta, ma la riducono e la rendono compatibile con i criteri ESG richiesti da finanziatori e inquilini globali. La sfida è trasformare un simbolo di eccesso in un laboratorio sobrio, replicabile in climi estremi.
Cosa significa per chi ci vive e lavora
La torre promette terrazze panoramiche, hotel, residenze con vista sul Mar Rosso e uffici che vendono unicità. La densità verticale riduce la dispersione urbana e concentra servizi e lavoro. Ma la vita in quota moltiplica piccole frizioni: ascensori affollati, tempi di attesa, distanza emotiva dalla strada. Il rischio è creare un’isola per pochi, separata dal ritmo quotidiano della città.
Gli sviluppatori parlano di mix funzionale, spazi pubblici in quota e connessioni pedonali. La prova reale arriverà con l’integrazione alla mobilità di superficie e alle reti di trasporto, alla presenza di scuole, sanità, uffici pubblici, commercio di prossimità. Senza queste cuciture, la verticalità resta un trofeo. Con queste cuciture, diventa quartiere.
- La torre migliora l’accessibilità di lavoro e servizi o spinge al pendolarismo interno tra piani?
- Le connessioni con bus, metro e strade sono dirette e frequenti o richiedono percorsi tortuosi?
- Il progetto genera opportunità per le imprese locali o polarizza rendite immobiliari?
- L’offerta culturale a terra resta viva o si sposta in alto, in spazi privati?
- Il quartiere funziona anche senza l’attrazione del belvedere e degli eventi?
La logica economica dietro il record
Un’icona visiva crea una scia lunga. L’esempio di Dubai lo dimostra: un’immagine notturna ha trainato flussi turistici, rotte aeree, conferenze, partnership. Jeddah punta a un effetto analogo, con un mix di aziende tech, finanza e hospitality che cerca indirizzi riconoscibili e narrative forti. L’operazione parla di diversificazione post-petrolio e di reputazione internazionale.
Il rischio esiste: costruire più in alto del necessario e scoprire che l’economia intorno non regge. Per questo la torre non arriva da sola ma si inserisce in un distretto pianificato, con spazi pubblici e maglia urbana. La domanda è se questo ecosistema terrà nei cicli di mercato, con turismo e materie prime soggetti a oscillazioni.
| Voce | Dettaglio | Implicazione |
|---|---|---|
| Soglia simbolica | Progetto oltre i limiti tradizionali del costruibile | Attira investimenti e attenzione mediatica |
| Vision 2030 | Strumento di diversificazione economica | Nuove filiere e occupazione qualificata |
| Integrazione urbana | Quartiere misto, servizi e trasporto | Qualità della vita e accessibilità |
| Energia e clima | Soluzioni passive e gestione smart | Costi operativi e criteri ESG |
| Mobilità verticale | Sky lobby e sistemi ad alta capacità | Comfort quotidiano per residenti e visitatori |
Lessico minimo per orientarti
Nel dibattito sentirai spesso “supertall” e “megatall”. Sono categorie usate dagli specialisti per distinguere grattacieli di grande altezza. Al di là delle definizioni, ciò che conta è la complessità aggiuntiva: ogni metro in più richiede più ingegneria, più energia, più manutenzione. E chiede un quartiere all’altezza, non solo un edificio da cartolina.
Come valutare un’icona prima di salirci
Vuoi capire se un record urbano funziona per te, cittadino o investitore? Prova una simulazione mentale semplice: arriva all’ora di punta, calcola il percorso dalla fermata del trasporto pubblico all’ingresso, stima l’attesa degli ascensori, chiediti dove mangerai, come rientrerai a casa, dove giochi con i bambini, dove prendi un caffè senza prenotare. Se le risposte sono chiare, il progetto sta risolvendo problemi reali, non solo scrivendo una didascalia per i social.
Un altro esercizio utile: immagina la torre senza belvedere e senza eventi. Il quartiere rimane desiderabile? Se sì, sei davanti a un pezzo di città robusto. Se no, ti trovi di fronte a un magnete scenografico che rischia di perdere attrazione alla prima crisi.
Le città non vivono di primati, vivono di abitudini quotidiane. Un grattacielo cambia la cartolina; un buon quartiere cambia la tua giornata.
Dicembre 2025 segna un ritorno di ambizione per Jeddah. La torre promette una vista che toglie il fiato e una vetrina globale. La partita vera si gioca a terra: collegamenti, servizi, mix sociale. È lì che un profilo nel cielo diventa futuro condiviso.






Lascia un commento