Un centro agricolo dimenticato affiora dal terreno vicino a Kasserine. La sua funzione non riguarda solo i reperti: riguarda come ci laviamo, cuciniamo, curiamo la pelle, illuminiamo le stanze. E mostra da dove veniva la stabilità che rese possibile la vita urbana nell’antichità.
Una fabbrica romana nel cuore della Tunisia
A Henchir el Begar, ai piedi del Jebel Semmama, gli archeologi hanno mappato un enorme complesso oleario di età imperiale. Due settori principali, denominati Hr Begar 1 e Hr Begar 2, ospitano una batteria di torchi a leva monumentali. Dodici da un lato, otto dall’altro: travi gigantesche, contrappesi in pietra, un ritmo di spremitura che ricorda una catena di montaggio ante litteram.
Qui l’olio d’oliva non era un fine: era un mezzo per far funzionare cucine, bagni, lampade e botteghe a grande distanza.
La scala del sito sorprende per la posizione: non un porto, non una capitale provinciale, ma un margine semi-arido. Eppure, proprio da un’area periferica partiva un fiume d’olio capace di rifornire mercati lontani, passando per snodi come Cartagine fino alle banchine sul Tevere.
Acqua domata in un paesaggio duro
Il segreto non sta solo nei torchi. Gli studiosi hanno identificato una rete idraulica integrata: una grande vasca di raccolta, cisterne collegate e canalette in pietra che convogliavano l’acqua dai fianchi del massiccio. La gravità faceva il resto, stabilizzando l’approvvigionamento per lunghi mesi secchi.
- Cattura delle piogge in quota in bacini dedicati
- Scorrimento regolato lungo canali rivestiti in pietra
- Cisterne per alimentare presse e abitazioni nei periodi critici
- Uso di surplus per pulizia degli impianti, abbeveraggio, usi domestici
Questa ingegneria riduceva i raccolti falliti e sosteneva un oliveto esteso. Non è la firma di una piccola fattoria isolata, ma di una pianificazione con obiettivi chiari: produzione stabile, flussi prevedibili, capacità di inviare partite regolari verso i mercati imperiali.
Potere, mercato e un nome da ricordare
Le iscrizioni collegano Henchir el Begar al Saltus Beguensis, una grande proprietà inserita nel sistema amministrativo romano. Un decreto del 138 d.C. autorizzava un mercato a cadenza bimestrale: un dettaglio burocratico che apre una finestra sulla vita economica del luogo.
Il proprietario, Lucillius Africanus, apparteneva all’élite senatoria (vir clarissimus). L’azienda agricola era un investimento e un presidio politico. Chi possedeva terra su questo confine controllava lavoro, scambi e fedeltà, con riflessi diretti sulla stabilità della provincia.
Il Saltus Beguensis mostra come la ricchezza senatoria dipendesse anche da imprese agricole provinciali ad alta intensità, non solo da rendite italiche.
| Elemento | Ruolo nel complesso |
|---|---|
| Torcularia (impianti di spremitura) | Estrazione su larga scala per mercati locali e per Roma |
| Rete idrica (vasca, cisterne, canali) | Continuità di produzione in clima semi-arido |
| Magazzini e depositi | Stoccaggio di olio, granaglie, attrezzi e carichi in partenza |
| Aree residenziali | Alloggi per amministratori, manodopera e famiglie |
| Spazio di mercato | Scambi periodici regolati dal calendario ufficiale |
Non solo presse: un villaggio brulicante
Le prospezioni geofisiche rivelano una trama fitta di case, strade e officine attorno al cuore industriale. Più che una piantagione isolata, un piccolo centro abitato con mestieri, stalle, attività annesse. Tra i reperti compaiono macine e strumenti agricoli: segni di colture diversificate. Olivo e cereali convivevano per ridurre i rischi di siccità o oscillazioni di prezzo.
Le fonti evocano gruppi locali come i Musulamii, comunità in parte nomadi di origine numida. Qui potrebbero aver convissuto famiglie musulamie e veterani romani insediati dopo il congedo. La coabitazione generava compromessi: contratti d’affitto, giornate di lavoro stagionali, pascoli mobili che talvolta incrociavano il mercato dell’azienda e talvolta se ne tenevano fuori.
Il confine africano appare come un mosaico di micro-regioni produttive, ciascuna con equilibri sociali e del lavoro propri.
Lavoro, mobilità e scelte familiari
Una proprietà di questa taglia richiedeva manodopera scalabile. Stagioni di raccolta attiravano braccia aggiuntive; mesi più lenti si reggevano su manutenzione, trasporto e trasformazioni collaterali. La flessibilità favoriva la tenuta economica del villaggio e garantiva all’azienda la capacità di reagire a crisi impreviste.
Ricerca internazionale e posta in gioco per oggi
Dal 2023 il progetto unisce l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università de La Manouba e la Complutense di Madrid. Direzione di Samira Sehili e Fabiola Salcedo Garcés, co-direzione di Luigi Sperti, con sostegno del ministero degli Esteri italiano. Gli obiettivi combinano scavo, formazione di studenti tunisini, conservazione e una fruizione culturale controllata.
Gli oggetti rinvenuti parlano di lunga durata: un bracciale in rame e ottone, un proiettile in calcare lavorato, blocchi architettonici riutilizzati in fasi bizantine. Il sito non venne abbandonato di colpo; comunità diverse rielaborarono strutture e materiali adattandoli a nuovi contesti politici.
Dal polo dell’olio a laboratorio di tutela
Molti siti rurali soffrono saccheggi, erosione e pressione edilizia. Trasformare Henchir el Begar in centro monitorato di ricerca e visita può fornire un modello replicabile per l’entroterra tunisino. E offre alla popolazione locale occasioni di lavoro qualificato e formazione continua.
Qui la storia dell’impero appare dal retro del palcoscenico: frantoi, oliveti, piste fangose che tenevano Roma accesa e sazia.
Perché questa storia riguarda te, oggi
L’olio d’oliva resta un bene sensibile. Quando i raccolti calano, aumentano i costi in cucina, nell’illuminazione tradizionale, nella cosmetica artigianale. Il caso di Henchir el Begar suggerisce strumenti concreti: cattura delle acque meteoriche, bacini di compensazione, filiere ben organizzate, colture miste per attenuare gli shock.
- Gestione dell’acqua: riduce rischi e stabilizza la resa.
- Diversificazione: olivo e cereali bilanciano domanda e clima.
- Logistica: nodi intermedi semplificano trasporto e stoccaggio.
- Mercati regolari: prezzi più prevedibili per produttori e acquirenti.
Come funzionava un torchio a leva
Il torcular romano sfruttava una lunga trave ancorata a un albero verticale. Contrappesi in pietra e sistemi di corde aumentavano la pressione sulle fisole piene di pasta d’oliva. Il ciclo prevedeva frangitura, riscaldamento moderato della pasta, spremitura, decantazione in vasche. La progettazione di Henchir el Begar indica un ritmo quasi continuo, con squadre che alternavano frangitura e pressatura per ridurre i tempi morti.
Una stima pratica, senza iperboli
Considerando la batteria di torchi e l’organizzazione su turni, gli archeologi parlano di centinaia di litri al giorno nei momenti di picco. Quantità del genere alimentavano non solo i mercati vicini, ma anche i carichi diretti verso i grandi centri del Mediterraneo. Confronti tra capacità dei torchi, tipi di anfore e dati pedologici aiuteranno a calibrare i volumi destinati a Roma negli anni prosperi e in quelli difficili.
Spunti utili per chi produce e per chi visita
Chi lavora oggi con l’olio può ricavare idee replicabili: piccoli bacini di raccolta piovana a monte degli oliveti, canalette in pendenza moderata, cisterne modulari facilmente ispezionabili. Le aziende che dipendono da un solo prodotto possono introdurre rotazioni con cereali o leguminose per stabilizzare i conti e mantenere attiva la manodopera oltre la stagione di raccolta.
Chi pensa a una visita può aspettarsi un paesaggio produttivo, non un tempio di marmo: basamenti dei torchi, soglie consumate, vasche di decantazione, tracce di strade di servizio. Un percorso guidato ben progettato rende leggibili i flussi: dalle terrazze di raccolta dell’acqua alle cisterne, dai magazzini alle aree di mercato. Ogni segmento mostra una scelta tecnica ancora attuale quando si parla di gestione della scarsità.







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