Non sei solo.
A dicembre le tavolate e le riunioni si moltiplicano. Proprio lì affiora un fenomeno quotidiano: il monologo travestito da conversazione, che logora chi ascolta e racconta più di quanto sembri su chi parla.
Perché alcuni parlano solo di sé
Non sempre è vanità. Spesso è autodifesa. In periodi di pressione, il pensiero si ripiega su di sé come rifugio veloce: ciò che normalmente resta nella mente esce parola dopo parola. Il risultato? Storie lunghe, dettagli minuziosi, continui ritorni alla stessa trama personale.
Il focus su di sé funziona come pronto soccorso emotivo: stabilizza, ordina, allontana il caos per qualche minuto.
Paura di perdere il controllo
Quando il terreno sotto i piedi trema — lavoro incerto, salute precaria, conti che non tornano — molte persone stringono il proprio racconto come un corrimano. Ripetere la “versione ufficiale” dei fatti dà un’illusione di stabilità. Più è forte la sensazione di instabilità interna, più la voce occupa spazio.
- La stessa storia viene ripetuta con piccole variazioni.
- Si correggono dettagli che gli altri non avevano notato.
- Ogni tema vira verso il problema del momento.
Solitudine mascherata da performance
C’è chi parla per non sentirsi solo. Se mancano relazioni sicure, la prima occasione di ascolto diventa uno “svuota-tutto”. A volte suona come spettacolo: vacanze incredibili, carichi impossibili, battute perfette. Sotto, una richiesta semplice: restami vicino, dammi conferma che ci sei.
Molti monologhi cercano connessione, non dominio.
Vergogna e autostima fragile
Il parlare serrato può funzionare come armatura. Elenchi di traguardi e agende gremite coprono la paura di non valere. Tacere equivale a esporsi. Perciò c’è chi sovraespone successi, oppure descrive in dettaglio la propria stanchezza. Linguaggi diversi, stessa convinzione nascosta: se non impressiono o non servo, non conto nulla.
Come riequilibrare la conversazione senza litigare
Non serve un manuale di psicologia. Bastano poche mosse chiare che mantengono rispetto e restituiscono spazio.
La regola 2:1 per la vita reale
Per ogni due domande che poni, offri una breve nota su di te. Rimani generoso nell’ascolto, ma lasci la tua impronta. Esempio: chiedi com’è andata la giornata, approfondisci un dettaglio, poi condividi un frammento del tuo pomeriggio. Il ritmo comunica che entrambe le vite hanno peso.
Specchio e snodo: mini-kit verbale
Un piccolo attrezzo combina riflessione e apertura:
- Specchio: riprendi parole-chiave dell’altro: “Mi dici che questo progetto ti prosciuga…”
- Snodo: aggiungi una domanda che allarga: “…quale parte ti svuota di più in questo periodo?”
Così l’altra persona si sente vista e, spesso, scende dal palcoscenico per entrare nel sentire. A quel punto inserire la tua voce risulta naturale.
Interrompere con chiarezza e gentilezza preserva sia la conversazione sia la relazione.
Confini detti con sincerità
Né ingoiare frustrazione, né esplodere. Nomina il bisogno senza accuse. Frasi possibili:
- “Ci tengo ad ascoltarti e vorrei raccontarti anche un pezzo della mia settimana.”
- “Restiamo su questo tema ancora dieci minuti, poi ti chiedo di cambiare argomento.”
- “Quando restiamo solo sulla tua storia mi sento messo da parte. Possiamo fare spazio a entrambi?”
Interpretare i segnali senza etichette
Il web ama diagnosi lampo, ma il comportamento umano è sfumato. Chiedersi “che cosa sta proteggendo questo modo di parlare?” apre più possibilità di un’etichetta frettolosa.
| Schema | Che cosa si nota | Lettura possibile |
|---|---|---|
| Autocentratura a fasi | Nei periodi critici parla soprattutto di sé | Strategia temporanea per reggere lo stress |
| Monologhi ricorrenti | Poche domande, interruzioni frequenti | Abitudine, insicurezza, scarse abilità di ascolto, isolamento |
| Racconto manipolativo | Usa storie per colpevolizzare o sminuire | Giochi di potere, conflitti irrisolti, pattern relazionali duri |
Fermità e compassione possono convivere nella stessa frase.
Proteggere la tua energia quando ti senti svuotato
Se esci da una cena o da una call con le spalle rigide e la mascella serrata, il corpo ha già parlato. Piccoli segnali fisici aiutano a ricalibrarti sul momento:
- Appoggiati allo schienale invece di propendere in avanti.
- Metti entrambi i piedi a terra e rallenta il respiro.
- Tieni una mano sul tavolo come promemoria: “qui ci sono anch’io”.
Da questa posizione più stabile risulta più facile dire: “Vorrei aggiungere il mio punto di vista” oppure “Questo argomento mi pesa, possiamo metterlo in pausa?”. Il corpo sostiene le parole.
Quando il parlare di sé nasconde rischi reali
La mente che gira sempre sullo stesso solco può rimandare a sofferenze più profonde. Con ansia o umore depresso, la ruminazione monopolizza l’attenzione e produce racconti ripetitivi. L’ascolto amicale ha limiti. Non sei uno specialista.
Se tornano a lungo gli stessi temi dolorosi, proponi una via diversa: “Porti questo peso da tempo. Un supporto professionale potrebbe alleggerirlo più dei nostri scambi brevi”. Così sposti la pressione senza chiudere la porta.
Allenare conversazioni più sane
- Poniti una regola discreta: tre domande sincere prima di un racconto lungo.
- Osserva i pronomi che usi: quanto “io” rispetto a “tu” o “noi” in un dialogo.
- Dopo un evento sociale, chiediti: che cosa ho imparato sull’altra persona oggi?
- Con partner o amici, concorda un segnale leggero per dire “monologo in corso”.
- Allena micro-silenzi condivisi: trenta secondi di pausa durante una passeggiata o un caffè.
Dicembre 2025: perché ora si nota di più
Fine anno significa bilanci, scadenze, riunioni affollate, famiglie riunite. La pressione narrativa esplode: ognuno sente il bisogno di sistemare la propria storia prima del nuovo inizio. Nei luoghi di lavoro, le chiusure di progetto moltiplicano l’uso di “io” e “mio”; tra amici, le cene lunghe diventano terreno fertile per racconti a nastro. Riconoscere il contesto aiuta a non prenderla sul personale e a negoziare tempi e spazi di parola con più lucidità.
Spunti utili per il prossimo incontro
Parola-chiave da tenere a mente: ruminazione. È il pensiero che torna sempre sullo stesso punto e chiama a raccolta il linguaggio per darsi forma. Un modo semplice per disinnescarla durante una conversazione è spostarsi dal “perché” al “che cosa ora”: “che cosa ti sarebbe utile nei prossimi due giorni?”, “che passo piccolo puoi fare domani mattina?”. La domanda concreta riduce la spirale e apre spazio anche alla tua voce.
Se temi di diventare tu il monologhista, prova una micro-simulazione: cronometra 90 secondi di racconto, poi fermati da solo e scrivi due domande che potresti porre all’altro in quel punto. Ripetuta tre volte alla settimana, questa pratica allena il muscolo dell’ascolto e rende più naturale il passaggio da storia personale a scambio reale. Il vantaggio è doppio: alleggerisci chi ti sta davanti e costruisci relazioni che reggono anche quando la vita bussa forte.






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