Pandemie e emergenze hanno spinto i ricercatori a studiare vie non convenzionali di ossigenazione. Una pista inattesa arriva dal tratto intestinale, ricco di vasi e capace di assorbire sostanze rapidamente.
Da una crisi personale a un’idea controversa
La scintilla nasce da un letto di terapia intensiva. Un medico nippo-statunitense, Takanori Takebe, osserva il padre affrontare una polmonite severa con ventilazione meccanica. Vede la macchina mantenere in vita. Vede anche il prezzo in termini di invasività e traumi.
La pandemia ha mostrato un’altra verità: i ventilatori non bastano sempre. In molte strutture si è dovuto razionare l’accesso. Da qui la domanda scomoda: esiste un “ingresso laterale” per l’ossigeno quando i polmoni cedono?
La formazione di Takebe in gastroenterologia e medicina rigenerativa si intreccia con un dato zoologico poco noto. Alcuni pesci e anfibi assorbono ossigeno attraverso l’intestino. Non è un vezzo da documentario. È un indizio fisiologico.
Dai pesci al colon: perché può funzionare
Il retto umano possiede una fitta rete capillare. In urgenza i medici già sfruttano questa via per farmaci ad azione rapida. Se i vasi trasportano molecole nel sangue, possono fare altrettanto con l’ossigeno se opportunamente veicolato.
L’idea è semplice: introdurre un liquido carico di ossigeno nel retto, lasciarlo bagnare la mucosa e permettere ai capillari di catturare il gas.
Il veicolo scelto è la perfluorodecalina, un perfluorocarburo in grado di solubilizzare grandi quantità di ossigeno. Questi liquidi incuriosiscono la ricerca da decenni per sangue artificiale e ventilazione liquida.
Come funziona la ventilazione enterale
Il protocollo prevede l’infusione rettale controllata di perfluorodecalina ossigenata. Il liquido aderisce alla mucosa, rilascia ossigeno vicino ai vasi e si rimuove al termine.
- Si infonde con delicatezza perfluorodecalina satura di ossigeno nel retto.
- Il film liquido si distribuisce lungo la parete intestinale.
- L’ossigeno diffonde verso i capillari e passa nel circolo.
- Il sangue venoso ritorna, ricarica ossigeno e lo distribuisce ai tessuti.
In topi e suini si osserva un aumento misurabile della saturazione, sufficiente a evitare ipossie critiche per brevi periodi. La pubblicazione su Med ha acceso riflettori e ironie. Il progetto ha persino ottenuto un Ig Nobel, premio che fa sorridere e riflettere insieme.
Dagli animali all’uomo: la prima prova di sicurezza
Cosa ha misurato lo studio
I dati preclinici non bastano. Per questo un primo studio sull’uomo ha valutato la tollerabilità del liquido senza ossigeno aggiunto. Ventisette volontari sani maschi hanno ricevuto perfluorodecalina per via rettale e sono stati monitorati per un’ora.
| Partecipanti | Dose di perfluorodecalina | Esiti principali |
|---|---|---|
| 21 | Fino a 1000 ml | Buona tollerabilità, nessun evento grave |
| 6 | 1500 ml | Dolore o fastidio addominale riportati da quattro soggetti |
I ricercatori hanno controllato segni vitali, analisi e sintomi. Hanno cercato segnali indiretti di assorbimento di ossigeno, pur senza arricchire il liquido.
Nessun incremento netto della saturazione ematica nell’uomo in questa fase, ma una finestra di sicurezza per proseguire.
Perché l’assenza di ossigeno extra non cambia la rotta
In fase I si testa la somministrazione, non l’efficacia clinica. La scelta di evitare l’ossigeno aggiunto ha ridotto variabili e rischi. Il passo successivo prevede perfluorodecalina ossigenata e pazienti con ipossiemia refrattaria. È lì che la tecnica dovrà dimostrare utilità: non nei volontari, ma in chi lotta per restare sopra soglie di sicurezza.
A cosa potrebbe servire nella pratica clinica
Gli pneumologi non sono unanimi. Il polmone ha una superficie immensa e membrane sottili pensate per lo scambio di gas. L’intestino è più spesso e non specializzato. Il confronto non regge su tempi lunghi. Ma alcune finestre cliniche restano aperte.
- Procedura di emergenza su vie aeree difficili, quando la saturazione crolla.
- Trasporto secondario tra ospedali, in caso di ipossia persistente.
- Deterioramento improvviso in pronto soccorso o in strutture con risorse limitate.
Obiettivo: non rimpiazzare il ventilatore, ma offrire una via di supporto per minuti critici.
Un possibile beneficio collaterale riguarda le pressioni ventilatorie. Una quota di ossigeno intestinale potrebbe consentire strategie ventilatorie più “gentili”, riducendo traumi da ventilazione in polmoni fragili.
Rischi, limiti e nodi etici
La procedura è invasiva e pone questioni di dignità e consenso. Nei pazienti sedati l’accettabilità potrebbe essere maggiore. In altri contesti serve chiarezza sugli obiettivi e sui limiti.
I perfluorocarburi possono interagire con la barriera mucosa e con il microbiota. Volumi elevati provocano crampi e distensione. Bisogna definire volumi, temperature e velocità di infusione per minimizzare effetti indesiderati. L’uso ripetuto richiede dati su infiammazione e permeabilità della mucosa.
C’è anche un tema logistico. Servono liquido ossigenato in modo controllato, cateteri dedicati e protocolli chiari. Infermieri e medici devono apprendere indicazioni, controindicazioni e segnali di allarme. Le terapie intensive, già sotto pressione, dovranno integrare il flusso operativo.
Dove si colloca nel mosaico del supporto d’organo
La “respirazione rettale” rientra in una strategia più ampia: dividere il carico tra organi e dispositivi. La dialisi supplisce ai reni. L’ECMO ossigena il sangue all’esterno. Si studiano nanoparticelle e vie cutanee per la consegna di ossigeno. Ogni tassello offre guadagni modesti, ma combinati possono salvare tempo e tessuti.
In questa cornice, l’intestino smette di essere solo digestione. È un organo immunitario, endocrino, e forse una seconda interfaccia per il gas. La formazione dei clinici potrebbe evolvere includendo scenari in cui il colon diventa un alleato temporaneo nelle emergenze respiratorie.
Cosa servirà per passare dal laboratorio al reparto
Servono studi clinici più ampi, con endpoint duri: saturazione stabile, tempo al recupero, tasso di intubazioni evitate, eventi avversi. Occorre anche mappare i profili di paziente che traggono beneficio: ipossiemia ipossica pura? Polmonite interstiziale? Traumi toracici?
L’iter regolatorio richiederà standard su purezza della perfluorodecalina, modalità di ossigenazione del liquido e tracciabilità del dispositivo. Un’unità di terapia intensiva dovrà dotarsi di check-list operative e formazione pratica sul letto del paziente.
Costi, disponibilità e alternative
La perfluorodecalina è già prodotta per usi medici e di ricerca, ma i volumi clinici e la qualità farmaceutica impattano il costo. Rispetto a ECMO, l’accesso è più semplice. Rispetto a ventilazione non invasiva o al flusso alto nasale, l’indicazione è diversa e più breve. La chiave sta nella selezione dei casi e nella sincronizzazione con le terapie standard.
Approfondimenti utili per il lettore
Che cos’è la perfluorodecalina. È un liquido inerte, non miscibile con l’acqua, con elevata capacità di trasportare gas. Non nutre i batteri, ma può modificare la microecologia se ristagna. Va infuso e poi drenato in modo controllato.
Esempio pratico. Un paziente in pronto soccorso con polmonite ipossica non tollera la maschera. La saturazione scende a valori critici durante la preparazione all’intubazione. Un piccolo volume di liquido ossigenato per via rettale, somministrato per pochi minuti, può offrire un margine per intubare in sicurezza senza collasso emodinamico.
Punti di attenzione clinica:
- Escludere perforazioni o coliti acute prima della procedura.
- Usare sonde lubrificate e monitorare dolore e distensione.
- Gestire il drenaggio del liquido e la protezione cutanea perianale.
- Registrare saturazione, frequenza cardiaca e segni di intolleranza in tempo reale.
Vantaggi potenziali e limiti. Il vantaggio più concreto è il tempo guadagnato. Il limite è fisiologico: la superficie intestinale disponibile allo scambio di gas, nella pratica, resta inferiore a quella alveolare. La tecnica, quindi, ha senso come ponte di breve durata o come complemento per ridurre traumi da ventilazione, non come sostituto di lungo periodo.
La domanda che ci riguarda tutti è semplice: avremo bisogno di una “porta B” per l’ossigeno nei momenti critici? Le risposte arriveranno da studi con ossigeno arricchito, dai protocolli di emergenza e dalla capacità dei reparti di adottare strumenti nuovi senza perdere sicurezza. Fino ad allora, l’intestino entra timidamente nella cassetta degli attrezzi della terapia intensiva, pronto a offrire minuti che possono valere un organo risparmiato.






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