Alessandro Haber: «Non mi importa di come mi ricorderanno. Volevo l'amore eterno come quello dei miei genitori, ma l'ho trovato solo nel lavoro»

Alessandro Haber: «Non mi importa di come mi ricorderanno. Volevo l’amore eterno come quello dei miei genitori, ma l’ho trovato solo nel lavoro»

Alessandro Haber: «Non mi importa di come mi ricorderanno. Volevo l'amore eterno come quello dei miei genitori, ma l'ho trovato solo nel lavoro»

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Che cosa resta quando un attore decide che la memoria altrui non sarà la sua bussola? Alessandro Haber lo dice senza giri: non cerca statue, premi, epitaffi. Sognava l’**amore eterno** che vedeva a casa da bambino. Non l’ha trovato. Ha scelto il lavoro come unica fedeltà.

Ci passa sopra la mano come su un tavolo della cucina, con familiarità, come se quel foglio fosse un luogo e non una cosa. La voce è roca e gentile, un po’ antica, un po’ ragazzina. Dice che non gli interessa come lo ricorderanno. Dice che voleva l’amore per sempre, quello che hanno avuto i suoi genitori. Non è arrivato. Allora ha tenuto stretta un’altra presenza, più affidabile e feroce: il mestiere. Si siede, ascolta un silenzio che sembra pieno di gente, poi sorride. E non chiede scusa.

“Amore eterno” contro la realtà: quando il palcoscenico diventa casa

L’idea centrale è una crepa luminosa: un uomo cerca per anni un sentimento totale e invece trova un mestiere che lo tiene vivo. L’arte diventa la coperta che non tradisce, la notte che fa dormire. La frase “**non mi importa di come mi ricorderanno**” non è cinica, suona quasi liberatoria. Toglie la polvere dell’aspettativa e lascia sulla sedia solo la persona e il suo fare quotidiano.

Si racconta una sera di pioggia, l’uscita dal teatro con ancora il trucco addosso e la città che corre. C’è chi lo ferma per una foto, c’è chi urla bravo da sotto un ombrello stanco. Lui tira su il bavero e ride, poi si blocca due secondi da solo davanti a una vetrina spenta. Non guarda se c’è qualcuno con cui tornare a casa. Guarda il riflesso del palco nelle sue spalle. E riparte.

Vivere al centro della scena significa accettare che il sentimento principale non sempre esce dalla porta di casa. La società ci spinge a cercare il “per sempre” come fosse una promozione in vetrina, ma chi fa un mestiere di emozioni impara la costanza e la perdita in egual misura. Il lavoro, fatto bene, funziona come una relazione seria: chiede dedizione, pazienza, perdono. E sa restare, anche quando tu non sei perfetto.

Metodo Haber: trasformare la mancanza in mestiere

Una mossa pratica? Fare spazio ogni giorno a un rito umile e ripetibile. Haber racconta spesso che prima di entrare in scena ascolta il respiro della sala. Non è poesia, è tecnica: riconoscere dove sei per entrare intero. Tre minuti di ascolto, una mano sul diaframma, due battute ripetute come una preghiera laica. Il vuoto smette di far paura quando lo nomini.

Diciamoci la verità: nessuno lo fa davvero tutti i giorni. Si salta, si corre, si sbaglia. Il trucco è non punirsi quando non riesce. Molti confondono il lavoro come anestesia con il lavoro come presenza. Il primo ti consuma, il secondo ti sostiene. Se cerchi di tappare un buco, quel buco si allarga. Se cerchi di abitare una stanza, la stanza si scalda. Capita a tutti di vivere quel momento in cui il cuore non basta: è lì che serve un gesto semplice, ripetuto, quasi artigianale.

In fondo, è una decisione gentile con se stessi e con il pubblico.

«Volevo l’**amore eterno** come quello dei miei genitori, ma **l’ho trovato solo nel lavoro**»

Non è una resa, è un patto di realtà. Qui sotto, un piccolo promemoria da tenere nel portafoglio:

  • Nominare la mancanza prima di lavorare: “Oggi mi senti, ma non mi domini”.
  • Usare un rito breve, sempre uguale: respiro, frase, passo.
  • Separare stanchezza e valore: non sono la stessa cosa.
  • Cercare maestri vivi, non idoli perfetti.

Che cosa resta davvero

Forse la traccia che lasciamo non è nei coccodrilli dei giornali, ma nel modo in cui trattiamo le ore. Quella di Haber è una presa di posizione esistenziale: liberarsi dal bisogno di memoria per liberare il presente. Non è romanticismo al contrario, è igiene affettiva. *La fedeltà, a volte, prende la forma di una lampadina accesa ogni sera sulla stessa tavola di legno.* Se un giorno l’amore grande arriva, bene. Se resta un’eco, va bene lo stesso. Il lavoro non ti abbraccia, però ti tiene la schiena dritta. E certe notti, credetemi, sembra quasi un abbraccio.

Punto chiave Dettaglio Interesse per il lettore
Il lavoro come affetto affidabile Rito quotidiano, presenza, continuità Come non naufragare nei giorni storti
Memoria vs presente “Non mi importa di come mi ricorderanno” Libertà dal giudizio e dalle aspettative
Mancanza trasformata Dare un nome al vuoto, non fuggirlo Strumenti pratici per reggere emotivamente

FAQ :

  • Chi è Alessandro Haber in poche parole?Un attore e uomo di scena che ha fatto del mestiere la sua casa emotiva, alternando ironia e ferita con naturalezza.
  • Cosa significa “non mi importa di come mi ricorderanno”?Una liberazione: meno ansia di lasciare un monumento, più cura del presente e dell’onestà in ciò che fa.
  • Ha davvero cercato l’amore “eterno”?È il suo racconto. L’orizzonte era quello, la strada trovata è stata il lavoro, fedele e imperfetto.
  • Come possiamo applicare il “metodo” nella vita comune?Con un rito breve prima delle prove della nostra giornata: respirare, dire una frase, rientrare nel corpo e poi cominciare.
  • E l’amore, allora, dove sta?Non viene escluso: smette di essere un obbligo e torna desiderio. Quando arriva, trova una persona intera, non una fame infinita.

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