Un micro-nodulo nascosto nel polmone può cambiare tutto. A Padova, un’unica sala dove imaging avanzato e bisturi lavorano insieme ha permesso la prima rimozione in “ibrido”. La domanda è semplice: cosa significa, davvero, per chi si siede su quel lettino?
Nell’ala nuova dell’Ospedale di Padova la sala ibrida sembra un piccolo set cinematografico: arco di angiografo, tavolo operatorio radiotrasparente, anestesisti che parlano a bassa voce. Un paziente con un nodulo di 8 millimetri, invisibile al tatto, entra spinto piano da un infermiere. *C’è un silenzio che pesa più dei macchinari.* Il chirurgo traccia con il dito una linea immaginaria sul torace, l’interventista prepara l’ago per il posizionamento del marker. Si lavora in sincronia, quasi fosse una coreografia provata mille volte. Poi la TAC intraoperatoria si muove, gira, cattura. La strada verso quel punto minuscolo è più chiara. Tutto in un respiro.
La prima volta in sala ibrida: perché conta davvero
La notizia fa rumore perché unisce due mondi che di solito si sfiorano e basta: radiologia interventistica e chirurgia toracica. In una sala ibrida, la rimozione di un nodulo polmonare non è più un puzzle da risolvere in due atti separati. Si localizza, si marca e si asporta nello stesso ambiente, senza spostare il paziente. Meno attese, meno incognite, più controllo sul margine di resezione. E una promessa tacita: niente caccia al tesoro in sala.
Prendiamo il caso reale di questo debutto padovano. Nodulo periferico, profondo, a rischio “sfuggita” durante una toracoscopia video-assistita. L’equipe marca il bersaglio con una microspirale radiopaca, controlla la posizione con una cone-beam TAC, incide pochi centimetri, inserisce gli strumenti. Dieci minuti dopo, eccolo sul tavolo: piccolo, compatto, con la clip ancora visibile. Un’ulteriore scansione verifica il polmone, nessun pneumotorace significativo, margini chirurgici puliti. Il paziente rientra in reparto con un tubo toracico e la sensazione di aver schivato qualcosa di più grande.
Dietro la scena c’è un cambio di paradigma. La sala ibrida riduce il rischio di “conversione” a chirurgia aperta e taglia i tempi morti tra reparto, radiologia e sala. Riduce anche gli errori di localizzazione, che su noduli sotto il centimetro possono arrivare a percentuali scottanti. Con l’imaging in tempo reale si decide con più serenità quanto tessuto togliere, evitando resezioni troppo generose o, peggio, incomplete. Il risultato clinico non si misura solo in giorni di degenza. Si misura in margini negativi, minor stress, cura che fila.
Dentro la procedura: dal gesto tecnico all’esperienza del paziente
Il cuore del metodo è semplice da dire, raffinato da fare. Marking percutaneo o endobronchiale, verifica TAC in sala, resezione VATS o robotica, controllo dei margini con imaging. Una scaletta corta, eseguita senza cambiare stanza. Chi guida la procedura è un team affiatato: chirurgo, radiologo interventista, anestesista, tecnici. Si parla poco, ci si capisce al volo. La chirurgia diventa un atto di precisione millimetrica, non un esercizio di fortuna.
Gli errori più comuni? Sottostimare la profondità del nodulo, fidarsi di un marker non ben ancorato, rimandare la verifica dei margini. Qui la sala ibrida smonta una a una queste trappole con il feedback istantaneo. Si vede, si corregge, si procede. Capita a tutti quel momento in cui il dubbio fa tremare la mano. Avere davanti l’immagine giusta lo spegne. Diciamolo: nessuno lo fa davvero ogni giorno. Ecco perché protocolli chiari, ruoli netti, check-list di pochi punti fanno la differenza.
Il paziente cosa percepisce? Un unico percorso, meno sorprese, più senso di controllo. Chi ha vissuto questa prima volta a Padova lo descrive così:
“È come avere la TAC dentro la sala. Prima speravi, adesso verifichi. E quando chiudi, sai di aver preso il bersaglio.”
In pratica, i benefici si toccano con mano:
- Localizzazione e resezione nella stessa seduta, senza trasferimenti.
- Maggiore precisione su noduli sub-centimetrici e profondi.
- Riduzione di complicanze legate a marcature esterne e tempi d’attesa.
- Controllo immediato dei margini e del parenchima residuo.
- Percorso più rapido verso la diagnosi definitiva e la terapia successiva.
E adesso che cosa cambia per i pazienti e per l’ospedale
Questa prima rimozione in sala ibrida apre una porta concreta. Più screening vuol dire più micro-noduli scoperti, spesso in persone che stanno bene e non hanno sintomi. La tecnologia serve proprio lì: a evitare resezioni “a occhi chiusi”, a trasformare la paura di un’ombra in un gesto mirato. L’Ospedale di Padova mette a sistema un modello che crea collaborazione, leva i muri tra reparti, accorcia strade. La parola chiave non è spettacolo, è affidabilità. E una promessa, detta piano ma chiara: tornare presto a casa, con margini chirurgici davvero “negativi” e un respiro un po’ più leggero.
| Punto chiave | Dettaglio | Interesse per il lettore |
|---|---|---|
| Prima rimozione in sala ibrida a Padova | Localizzazione, marking e resezione nello stesso ambiente | Capire perché il percorso diventa più rapido e sicuro |
| Tecnologia a supporto | Cone-beam TAC, marcatori radiopachi, VATS/robotica | Vedere come la precisione riduce stress e complicanze |
| Esito clinico | Controllo immediato dei margini e minor degenza | Quali vantaggi concreti per paziente e famiglia |
FAQ :
- Che cos’è una sala ibrida?È una sala operatoria con imaging avanzato integrato, dove radiologia interventistica e chirurgia lavorano insieme nello stesso spazio.
- A chi serve questa procedura?A pazienti con noduli polmonari piccoli o profondi, difficili da localizzare e asportare con sicurezza in una sala tradizionale.
- Quanto dura l’intervento?La durata varia, ma spesso marking, controllo e resezione si completano in una singola seduta di poche ore.
- Quali sono i benefici principali?Maggiore precisione, meno spostamenti, controllo immediato dei margini e potenziale riduzione della degenza.
- Si può fare anche con robot?Sì: l’imaging in sala ibrida si integra sia con la VATS sia con la chirurgia robotica, a seconda del caso clinico.







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